La
vita a Londra è terribilmente frenetica. Sai quando la tua giornata inizia, ma
non sai mai quando finisce. Tutto si svolge in tempi ristretti e senza
fronzoli. Le parole e le frasi sono strutturate in modo da essere concise,
chiare e sintetiche. In tutto ciò, però, si nasconde una trappola.
Una
formalità tipica degli inglesi, quando devono praticamente schiavizzarti o
costringerti a fare qualcosa, è quella di impostare la frase in modo tale da
farti pensare che, facendo quella determinata cosa, tu gli stia facendo un
favore. In Italia per esempio, se dobbiamo affidare un incarico lavorativo a
qualcuno, ci limitiamo a dire: "Potresti gentilmente contattare le persone in
questa lista e darmi una risposta entro le 2 del pomeriggio?" ergo "ti sto
pagando per fare questo, fallo!". Gli inglesi invece, strutturerebbero la frase
in questo modo: "Non è che mi faresti un favore e contatteresti le persone in
questa lista? Se riesci a farlo entro le 2 del pomeriggio that would be lovely". Tutto ciò
magari potrebbe anche suonare meglio, visto che la reazione sarebbe "Oh, che
carino, guarda quanto è gentile!". Ma, ovviamente non è così!
Il
problema sorge quando tu effettivamente non capisci che dietro quel finto
buonismo si nascondono una serie di porte e reazioni a catena che mai vorresti
aprire. Se alle 2 del pomeriggio tu non hai terminato, puoi anche iniziare a
scavarti la fossa, scegliere come morire, creare l'evento su Facebook ed
invitare tutti gli amici.
La
prima reazione è la cosiddetta "disappointment" o delusione nei tuoi confronti,
che inizia con una serie di parole a raffica che terminano con "mi aspettavo che
l'aresti fatto, ma sono profondamente deluso dal fatto che tu non abbia
terminato l'incarico". Se anche cerchi di spiegare il perché tu non ci sia
riuscito, scatta immediatamente la seconda reazione, quella del "avresti dovuto
dirmelo prima".
La
chiave per far funzionare le cose con gli inglesi, alla fine, è la comunicazione
stessa. Una delle cose che ho imparato fin dagli inizi, è stata quella di
chiarire e spiegare quando ritenevo di non poter portare a termine un incarico
nei tempi richiesti. Ma per farlo, bisogna prepararsi e presentare le "prove"
che spieghino in anticipo il perché le condizioni richieste non possano essere
rispettate. E questo gli va perfettamente bene, as long as you let them
know.
Durante
la tipica giornata inglese ci si trova ad affrontare miliardi di situazioni e ci
si relaziona con tantissime persone provenienti da ogni parte del mondo. Questo
porta ad identificare una delle caratteristiche indispensabili per poter essere
una persona di successo: mai farsi trovare impreparati, o viceversa, essere
sempre pronti! Questo concetto si applica in qualsiasi situazione. Da un
semplice colloquio di lavoro, alla fila per fare la spesa, allo stare alla
destra nelle scale mobili.
Agli
inglesi le persone insicure e indecise, non piacciono. E queste sono le prime a
non essere considerate durante un colloquio di gruppo, durante la scelta su chi
promuovere e via dicendo.
Quando
tornai a Londra la seconda volta, nel febbraio 2008, avevo ben in mente quali
fossero le mie intenzioni. Il mio primo passo era quello di imparare a
relazionarmi con gli inglesi e con i loro modi di fare. Iniziai così a studiarli
e a cercare di capire come reagire quando mi sentivo messo in croce o attaccato
perché commettevo errori. Capii immediatamente che se non ero in grado di
strutturare la frase e rispondere a dovere anche se non in torto (come faremmo
in Sardegna), avrei semplicemente dovuto lasciar perdere e mordermi la lingua
dicendo "Mi dispiace per l'errore commesso, avrei dovuto prestare più attenzione
e mi metterò d'impegno per migliorare". Scoperto questo Sacro Graal, la mia vita
iniziò a prendere una piega totalmente diversa. Iniziavo a vivere le mie
giornate con più positività, e questo perché mi ero preparato sul come gestire
una delle situazioni che più mi mettevano a disagio e che mi avevano spinto ad
abbandonare Londra pochi mesi prima.
Dopo
aver messo in atto la prima parte del mio piano, era ora di cercare una nuova
casa. Al mio rientro, stetti per un paio di settimane con Fabiana nella sua
stanza a Battersea Park. La zona di Battersea è piuttosto carina: si trova a sud
del Tamigi e di Chelsea. L'ho sempre considerata come un'area scelta da quelli
che lavorano in centro ed arrivarci è veramente questione di minuti. Purtroppo
però non potevo stare in quella casa, cosi mi misi alla ricerca di una nuova
stanza. Francesco viveva ancora a Golders Green, mentre Fabiana si spostò sempre
più a sud.
Io,
invece, finii a Vauxhall.
Vauxhall,
a mio avviso, è un'area pessima. La maggior parte dei club notturni e hard core,
after/rave party, si trovano tutti nell'area. Spesso la domenica alle 9 del
mattino, mentre aspettavo il bus, venivo affiancato da persone completamente
ubriache e fatte della qualunque che volevano mi unissi a loro per after party o
simili. Considerato il tipo di ambiente, uscire la notte e rientrare passando
per Vauxhall era alquanto pericoloso. La cosa poco positiva inoltre, è che mi
trovavo in casa con una coppia di ragazze polacche e un ragazzo italiano che
fumava canne dalla mattina alla sera. Le ragazze litigavano ogni 5 minuti,
mentre l'italiano a stento capiva quello che gli dicevamo, e il più delle volte
lo trovavamo addormentato sbronzo sulle scale.
Ma
il problema più grave era un altro: non avevo I-N-T-E-R-N-E-T!!!
Pagavo
pochissimo di affitto, ma la mia stanza era un buco. Ci stava un letto singolo e
un comodino. Non avevo nemmeno lo spazio per muovermi né per aggiungere una
scrivania o un semplice mobile.
In
quel periodo soffrii tantissimo di solitudine. Era difficile trovarmi in una
grande città e sentirmi solo, in una casa che non sentivo mia, con persone che
non conoscevo. Raggiunsi l'apice quando mi venne la febbre altissima e mi trovai
da solo in casa. Chiamai Francesco in lacrime e chiesi aiuto. La testa mi girava
tantissimo e sudavo a dismisura. Non avevo un medico e non sapevo che medicine
prendere o come farmi passare la febbre. Così Francesco arrivò e mi buttò in
doccia. Io deliravo, manco mi ricordo. Mi portò delle medicine e il giorno dopo
iniziai a stare meglio.
La
cosa che volevo però era vivere con persone che conoscevo e che mi erano amiche.
Così iniziai ad andare più spesso a casa di Francesco a Golders Green e a
piazzarmi li` durante la settimana (chiamatemi accollo). Io lavoravo in
Selfridges, per cui era facile raggiungere lavoro da casa sua. Preferivo
prendere il bus, anche se ci metteva più tempo. Le aree che visitavo erano tutte
zone carine e benestanti, quindi mi piaceva stare seduto nel bus, godermi il
caffè, e vedere il paesaggio. Nell'arco di un mese Francesco mi propose di
trasferirmi nella sua stanza e dividere le spese. In tal modo avremmo
risparmiato entrambi, e io non sarei più stato solo.
Lentamente
la mia vita stava prendendo forma, e a poco a poco costruivo il mio futuro
mattone dopo mattone. Ero speranzoso e non vedevo l'ora di scoprire cosa questa
fantastica città avesse ancora da offrirmi.
Ora
avevo solo un obbiettivo: fare carriera a Selfridges.
Ero
semplicemente un commesso, ma volevo diventare di più. Volevo diventare Brand
Manager e poi salire di grado e diventare Department Manager.
Sapete
quale è la cosa divertente in tutto ciò? Beh, in 4 anni che passai in
Selfridges, non riuscii mai a far carriera. E rimasi un commesso. Sempre e solo
un commesso.
Come
mai? Cosa accadde? Cosa cambiò?
Well,
questa è tutta un'altra storia...