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domenica 14 settembre 2014

Storia di una piccola fiammiferaia alla London Fashion Week


RESOCONTO DELLA SERATA DI IERI, 14 SETTEMBRE 2014, LONDON FASHION WEEK:

- Mi sono innamorato 112098301980 volte.
- Ho dovuto pisciare in loculi pubblici che sicuramente mi sono beccato la tisi.
- I drinks erano free (questo basta a rendermi più che felice).
- Sono riuscito a bere senza vomitare.
- Sono riuscito a bere senza piangere.
- Sono riuscito a rientrare a casa senza vomitare né piangere.
- Ho conosciuto tantissime persone interessanti e sono pieno di biglietti da visita.
- Non so nemmeno chi siano, visto che non capivo una minchia di quello che mi dicevano. "Date da bere agli inglesi, e potete dire addio alla facoltà di comprensione".
- Ho incontrato persone che non vedevo da secoli, ed è stato bellissimo. Hanno fatto finta di riconoscermi ovviamente, e me ne accorgevo mentre gli parlavo... per cui morite!
- Sono convinto che la gente stia confondendo la moda con le baracconate. Mai visto gente peggior vestita. Senza gusto, stile, storia. Un ammasso di accessori messi tutti insieme che un cieco ad occhi chiusi riuscirebbe a fare meglio. Un circo in cui gli animali sono messi in libertà, aperte le gabbie. "Fashion Blogger" che parlano di moda facendo copia e incolla da google. Ma il coraggio? Di chiamarvi Fashion Blogger?
- Ho accarezzato un cavallo per la prima volta in vita mia, ed è stato emozionante.
- Il cavallo era vero.
- Ho raccontato al cavallo tutta la mia vita.
- Non rispondeva, ma mi guardava. Poi si è stancato e ha girato la testa.
- Ho mandato a fanculo due ragazze che volevano entrare in bagno prima di tutti "we are women, can we go in first?" le ho prese ad urla con tanto di applausi dal pubblico vedente e udente.
- Per il resto, ho mal di testa.


lunedì 8 settembre 2014

Da grande voglio...

I giorni in cui non lavoro mi metto sempre alla ricerca di risposte a domande impossibili, spesso più grandi di me. La mia mente è libera dallo stress e dalle mille situazioni che devo affrontare 5 giorni su 7. Così mi siedo sul divano, e mentre guardo i miei telefilm preferiti, il mio cervello inizia a perdersi in vasti ragionamenti che si concretizzano sempre in un'unica domanda: perché?

Perché la maggior parte di noi si dedica interamente alla ricerca del successo? Carriera? Fama? Soldi? Cosa spinge un essere umano comune a voler ottenere di più dalla vita?

Ogni giorno mi sveglio e so che dovrò affrontare un mondo nel quale devo stare sempre a testa alta, un mondo per il quale devo avere sempre una risposta pronta, mai farmi trovare impreparato. Una realtà che è costantemente in movimento, che non segue delle regole, che destabilizza lo spirito, l'animo, la forza di volontà. In 9 ore di lavoro passo da momenti estremi di gioia a momenti in cui vengo trattato di merda, deriso, ritenuto inappropriato e spesso maltrattato. Poi arriva il Direttore Generale che invece si congratula con me, dicendomi che sono un Talento. Sì, con la T maiuscola. Mi dice che persone come me sono introvabili, che il mio essere così trasversale e versatile mi permette di imparare qualsiasi cosa nell'arco di pochissimo tempo. Così torno al mio lavoro, pronto per affrontare il prossimo attacco, O il prossimo elogio.

Quando torno a casa però, nel tragitto tra la fermata del bus e la porta di ingresso, mi soffermo a pensare all'inutilità delle sfide che dobbiamo affrontare giornalmente. Penso a certe regole nel mio lavoro che trovo immensamente inutili, come il mandare via un ragazzo che invece di indossare i calzini neri li porta dark blue. Per farlo, devo prendermi la forza e prepararmi psicologicamente alle mille risposte che questa persona può darmi, alle centinaia di giustificazioni del perché stia indossando i calzini dark blue anziché quelli neri. Alla fine però, so già che la mia risposta sarà una "O vai a comprarti i calzini neri, o non puoi stare qui!".

Viviamo in un mondo nel quale non esiste la domanda "Perché stai indossando i calzini blu", ma esiste una domanda con una risposta intrinseca, che non lascia spazio ad alcuna giustificazione "Sai bene che non puoi indossarli, devi andartene".

Per fare tutto ciò, io devo metterci impegno. E situazioni come questa sono all'ordine del giorno. Utilizzo energie per fare delle cose che sono totalmente e completamente futili. E tutto questo per cosa? Per arrivare dove? Per dire "sono una persona di successo"? "Guadagno un sacco di soldi"? Perché? Il 70% del mio tempo è dedicato a queste cose, il restante invece lo spendo a cercare di non farmi influenzare negativamente dalle stesse.

Perché dobbiamo spingerci al limite per cercare di ottenere di più dalla vita? Il problema, signori miei, è che non ci accontentiamo. Inutile fingere o mentire, l'essere umano nasce avido, e quando messo in un una situazione competitiva, cerca sempre di primeggiare su tutto e tutti.

Molti dicono "lo faccio per dimostrare a me stesso che valgo". Cazzata! Ci sono molti artisti che passano un'intera vita a dipingere quadri, a fare audizioni, a cercare di ottenere qualcosa, e spesso e volentieri non ottengono nulla, o forse ottengono la fama quando muoiono. Cosa cambia quindi? Erano talenti anche prima, potevano stare a casa tutto il giorno a dipingere o a cantare sotto la doccia. Sapevano di essere bravi, ma avevo bisogno della conferma del mondo esterno per ritenersi tali. Avevano bisogno di 100.000 hits su YouTube per svegliarsi un mattino e dire "oh cazzo, sono diventato famoso... sono un talento ora, lo dicono tutti!". Allora? Ci riteniamo soddisfatti solo quando il resto del mondo ci dice che siamo bravi? È questo l'essere umano? Un agglomerato di conferme da una massa di sconosciuti?

Lo scorso luglio sono andato in vacanza in Gran Canaria. Stavo seduto al tavolino col mio coinquilino Francesco. Il cameriere si avvicina e iniziamo a parlare. Era inglese, 36 anni, Web Designer, che ha lasciato tutto per andare a vivere li. Così, con i miei soliti modi altezzosi, gli dico "tu sei pazzo, queste cose si fanno quando si è giovani... dove ti porterà tutto ciò? Ti troverai a 40 anni ancora qui... senza nulla in mano... che futuro hai?" Lui mi risponde "io sono felice, e tu? Io mi alzo e sorrido, so che dovrò affrontare una giornata di lavoro nel quale lo stress si riduce al bicchiere che cade sul pavimento e si rompe, tu invece? Arriverò a 40 anni ancora qui, ma col sorriso. Torno la sera e non ho preoccupazioni, mi godo la vita, mi diverto, mi dedico agli esseri umani senza regole né pensieri negativi. Mi godo un sorriso, un abbraccio, un bambino che piange. Mi godo un litigio, perché so che deriva da situazioni reali, e non dalle stupide regole che vi impongono nel vostro lavoro".

Il suo ragionamento mi ha portato a pensare. 20 giorni dopo sono andato in Sardegna. E per 15 giorni mi sono goduto la vita nel modo in cui mi ha insegnato lui. Ero libero da stress, da pensieri, dalla ricerca del successo, assaporavo l'odore dell'erba, del prato, i fichi non ancora maturi, le amicizie, il sorriso di mia madre. Assaporavo la vita.

Da quel momento non faccio altro che pensare a quanto io stia perdendo, a quanto tempo ed energie io stia sprecando per "problemi" che sono letteralmente delle cazzate. Ogni giorno quantifico l'ammontare delle sfide inutili che devo affrontare. E tutto questo mi sta portando ad essere stanco del modo di ragionare delle persone. Sono convinto che esista un modo di vivere nel quale le sfide siano necessarie, nel quale la giustificazione sul perché di un calzino blu sia veramente importante, sulla quale poi si possa dialogare insieme trovando una soluzione. Sono sicuro che esista un mondo nel quale ci si soffermi veramente ad ascoltare gli altri. Sono certo che esista una realtà nella quale si possa rientrare a casa col sorriso, e con la voglia di voler iniziare una nuova giornata.

Voglio trovare questo mondo.



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